Come ogni primo appuntamento, anche quello con lo psicologo intreccia all’unisono emozioni di ansia e di curiosità. Soprattutto perché, generalmente, non si conosce l’Altro fino al momento in cui lo si vede per la prima volta.
Fin dall’iniziale telefonata per fissare il giorno e l’ora dell’incontro si stabilisce un primo contatto; l’intensità e l’intonazione della voce, il linguaggio utilizzato, la maniera di rispondere ed interloquire ci danno un’idea preliminare sul tipo di persona che si trova all’altro capo del telefono. Se l’approccio avviene tramite email, interagiamo e prendiamo informazioni attraverso il modo di scrivere, di esprimersi e di comunicare.
In entrambi i casi, le sensazioni che percepiamo innescano alcune fantasie sull’Altro, ovvero immagini, aspettative ed impressioni, determinanti sulla scelta del “se e come” presentarsi al colloquio. Si tratta di fantasie – più o meno realistiche – che con molta probabilità andranno ad influire sull’andamento espositivo, almeno iniziale, della persona che chiede il consulto, e che anche il professionista terrà presenti nel momento di una ricostruzione clinica.
Perciò si può dire che non si arrivi completamente “vuoti” al primo colloquio, ma che anzi, si abbiano già diverse percezioni da convalidare e/o approfondire.
Durante questo primo incontro quindi si tratterà di presentarsi, verificare e ri-conoscere chi è l’Altro, di comprendere il suo modo di entrare in relazione, le sue dinamiche, la modalità con cui poter lavorare insieme.
Compito del terapeuta sarà quello di aiutare la persona a circoscrivere le aree problematiche che l’hanno portata a chiedere aiuto, fornirle la forza per iniziare questo nuovo percorso e cominciare a trasmetterle un’idea iniziale di intervento sul problema.
Dall’altra parte, l’utente potrà usufruire di questo incontro per accertarsi che il professionista gli trasmetta un senso di accoglienza, preparazione e fiducia, componenti basilari per la costruzione di un buon rapporto terapeutico e quindi di una buona terapia.
Ogni psicologo elabora un modello di interazione adatto a sé e alla persona che ha di fronte, modello che tuttavia varia al variare dello stile comunicativo dei partecipanti, influenzato inevitabilmente dalla comunicazione bilaterale e dall’imprescindibile risultato scaturito dalle due personalità che si incontrano.
Anche l’analisi dei canali non verbali attivi appare indispensabile tra due persone che entrano in contatto per la prima volta.
Benché l’incontro venga costruito da entrambi i protagonisti, seppure con modi e ruoli differenti, incertezza, ambivalenza e paura condizionano spesso la percezione del colloquio da parte di colui che chiede l’appuntamento. Nella più ottimistica delle aspettative sarebbe sicuramente apprezzabile non trascendere dalle sensazioni che l’altro ci trasmette, ma anche darsi del tempo per comprendere quanto esse possano essere distorte dalle iniziali emozioni negative e/o ansiogene.
Talvolta, sebbene si sia coscienti del desiderio e del bisogno della propria richiesta di aiuto, inconsapevolmente si può vivere il colloquio come una frustrazione per il proprio orgoglio o come una costrizione, senza alcuna differenza se giunta dall’interno o dall’esterno.
In tal caso può succedere che il senso di vulnerabilità e di ansia, la percezione di essere sotto esame o il sentirsi intimiditi nell’aprirsi a qualcuno che non farà altrettanto, faccia scaturire un’ambivalenza nei confronti del terapeuta e della terapia stessa.
Pertanto, sarebbe bene che entrambi i protagonisti della scena si rendano conto delle difese messe in campo, e che agiscono sulla motivazione reale verso il trattamento, per poter chiarire in breve sia gli espedienti improduttivi che le risorse costruttive cui poter far riferimento.
Un’ulteriore considerazione rispetto al primo colloquio riguarda l’atteggiamento che spesso si innesca da parte del portatore della richiesta di aiuto: una tendenza quasi inconsapevole a pensare che il solo, faticoso, sforzo effettuato nel rivolgersi ad uno psicologo sia sufficiente a risolvere il problema, possibilmente presto.
In realtà, benché saremmo tutti felici se fosse così semplice, il processo terapeutico parte su altri tipi di basi. Esso racchiude il riconoscimento di alcune convinzioni ed implicazioni insite nella decisione di intraprendere una terapia e cioè dall’accettazione della propria responsabilità nella scelta di iniziare un percorso di cambiamento prima, e nel portare avanti attivamente gli effetti derivati da questo proposito poi.
Talvolta, invece, la mala informazione, i falsi stereotipi o uno stimolo solo illusorio a mettersi in discussione incidono sulla digressione da queste premesse.
Specialmente quando si è indotti alla richiesta di intervento dall’esterno (istituzioni, medici, familiari, amici), capita che certe risposte vengano fraintese dall’ipotetico paziente, sebbene tale atteggiamento rifletta una possibile scarsa motivazione, particolari modalità di funzionamento psichico,o anche una tendenza culturale alla ricerca di una medicalizzazione delegante e rassicurante.
Compito dello psicologo sarà allora quello di riportare la persona a gestire la propria esperienza, con fiducia nelle personali capacità. In tal modo, il paziente si rende protagonista della sua terapia e quindi responsabile dei propri cambiamenti.
Questa breve dissertazione vuole solo offrire un contatto per comprendere quali e quante dinamiche siano implicate nell’incontro con l’altro, in particolare nel contesto della richiesta di un colloquio psicologico. A volte, infatti, un incontro non è sufficiente a circoscrivere la situazione terapeutica. Anche in tal caso, dipende dalla percezione della persona rispetto alla propria problematica, dal modo di relazionarsi, dalle aspettative, dalle modalità di funzionamento normalmente applicate.
Tuttavia, poche indicazioni possono essere comunque utili per superare la frequente confusione sull’argomento, e sentirsi maggiormente pronti ad affrontare una spinta difficile come quella di un primo appuntamento con lo psicologo.
Talvolta è sufficiente ri-conoscersi per poter valutare decidere liberamente la strada giusta da seguire.
dott.ssa Michela Vespa, Psicologa Psicoterapeuta
tel. 339.4202932
michela.vespa@gmail.com